Da un giorno all’altro la classe è chiusa.
Vuoti i banchi, spenta la luce, la porta serrata perché l’aula va sanificata.
Capita a parecchie classi, in tutta Italia, e capita anche a me.
I ragazzi improvvisamente si trovano dietro lo schermo, perché alla prima ora del primo giorno di quarantena siamo già collegati: che cosa dobbiamo fare prof?
Poi leggo sui giornali la generale levata di scudi contro la chiusura delle scuole e penso che in un certo senso è motivata, l’educazione è la cosa più importante. Come non dargli ragione: io per la scuola ho studiato, insegnato, scritto, formato insegnanti, amministrato, fatto politica, tutta la vita.
La scuola prima di tutto ( anche del calcio? ). E poi la drammatica situazione delle famiglie con bambini, che non sapevano più a che santo votarsi per continuare a lavorare con i figli per casa. La scuola in presenza è una necessità per tanti motivi sacrosanti, educativi e sociali. Te lo proclamano, te lo scrivono, te lo spiegano con toni sempre più veementi e commossi che la scuola deve restare aperta. Ma con la commozione e la retorica sull’afflato dell’ educazione in presenza non si combatte la pandemia.
Ci vogliono soluzioni.
La ministra Azzolina di fronte all’aumento dei casi invece di domandarsi se questa estate ha fatto tutto il possibile per un rientro sereno, ha dato delle cifre relative ad una irrisoria incidenza di contagi a scuola. Ma si riferiscono a fine settembre, quando la scuola era cominciata da due settimane, e in alcune regioni da una. E non ha spiegato con che tipo di analisi tali cifre sarebbero uscite. Da una decina di giorni la curva dei contagi si è impennata: cosa è cambiato dall’inizio di settembre? La catena dei contagi non è immediata, é una specie di staffetta in cui il testimone viene passato, nel giro di qualche giorno, a uno o più altri individui ( più sono più mediamente sale il fattore Ro). Quale è il fattore intervenuto a poter giustificare questo drammatico cambio di passo? La riapertura delle scuole? Questa domanda non ha certo una risposta semplice: non sapremo mai dove e come molti dei tantissimi casi ha contratto il virus. Ma certamente la movimentazione di tutti gli alunni ha modificato la rete dei contatti nel paese. Se si lavorasse meglio su raccolta dei dati e tracciamenti probabilmente capiremmo qualcosa di più.
Nei mesi estivi, mentre il paese scivolava in piena incoscienza sul reflusso della prima ondata di epidemia pensando che tutto sarebbe finito bene a prescindere, chi di scuola un poco ragiona, esperti e educatori, hanno fatto proposte che invece di nascondere la polvere sotto il tappeto indicavano dei percorsi.
Articolazione delle classi in piccoli gruppi e turni, alternanza di scuola in presenza e in digitale, diluizione degli ingressi, contenimento delle ore curriculari. Reperimento di locali, spazi, anche alternativi agli edifici scolastici. E poi piano per il trasposto pubblico, e relativi investimenti per ampliamenti dei servizi di bus, almeno temporanei, con apporti dal privato, visto anche che il turismo latita.
Quanto era nella disponibilità delle autonomie scolastiche è stato spesso fatto: dirigenti e staff hanno passato l’estate programmando, misurando, preparando.
Ma adesso si chiudono le porte delle aule. Perché la retorica non abbatte il virus. E le rassicurazioni sul fatto che sarebbe stato tutto come prima, e che non si doveva pensare ad altro che alla scuola in presenza e solo in presenza, e pure senza mascherina in classe, così le mamme no mask sono contente, si rovesciano nella scuola in assenza.
E fortuna che la didattica digitale integrata, così negletta e demonizzata, ci permette di tenere fermamente il filo del contatto, del dialogo, della vicinanza educativa, almeno con gli alunni più grandi.
L’educazione a distanza è sempre esistita: un tempo erano i libri, oggi anche la faccia, la voce, il messaggio che ci fa presenti da uno schermo. In tempi ordinari integra la scuola in presenza. In tempi straordinari ci si ingegna a farla diventare un buon sostituto. Avrebbe potuto precauzionalmente alleggerire le probabilità di contagio per i ragazzi delle superiori, che sono quelli che hanno una irrefrenabile vita di relazione dopo la scuola, e che prendono i mezzi, evitando di stipare una ventina e spesso più studenti in un’aula. Adesso siamo obbligati di nuovo a usarla, sperando che resti per le quarantene e non per la chiusura.