La scuola di carta fatta di libri, quaderni, dizionari, cartelloni è chiusa.
Un mese fa i nostalgici presenzialisti (se così possiamo nominare gli irriducibili della didattica in presenza e solo in presenza), difensori della scuola di carta, e dall’altra parte gli innovatori digitali hanno incrociato le armi dialettiche come se il futuro della scuola italiana dipendesse dalle loro contese pedagogiche. La scuola di carta che resisteva da anni a ogni tentativo di assalto, asserragliata nella difesa inerziale e quindi abbastanza comoda dello status quo ha esibito commuoventi nostalgie di aule e studenti, quegli stessi spesso meno amati in presenza…. I digitali ideologici che da tanto si battono per classi capovolte hanno visto la scuola di carta andare a gambe all’aria senza che neanche la necessità di darle uno scossone.
Nella realtà poi si è visto che tutto dipendeva dall’andamento del virus e che qualunque fosse la posizione ideologica sulla didattica a distanza bisognava comunque darsi da fare. Così anche i più accaniti detrattori, aiutati dai provvidi animatori digitali o da colleghi esperti, sono finiti a fare lezione online. Da più di un mese ormai la scuola opera in modalità a distanza. E i libri sono ancora aperti sui tavoli di cucina o nelle camerette a testimoniare che anche il libro è una forma primaria di didattica a distanza.
Adesso la lentissima progressione verso una riduzione del contagio apre discussioni non solo sulla emergenziale conclusione dell’anno scolastico, ma anche sulla ripresa del prossimo anno a settembre.
Come dice il detto popolare “si fa’ di necessità virtù”. Ma perché virtù sia, e non una pezza messa alla meglio sopra il buco, bisogna ragionarci, imparare, attrezzarsi.
Come cambierà la scuola prossimamente, finché il contenimento della diffuzione del virus ci obbligherà alla rarefazione fisica e al distanziamento dei contatti? E cosa lascerà questa forzata esperienza nelle nostre prassi didattiche a contagio ultimato?
Innanzitutto dobbiamo capire come funziona la didattica a distanza dalla parte degli studenti, cosa sta succedendo davvero nelle stanze, cucine, salotti dove i nostri ragazzi lavorano. Come si apprende, cosa si impara, cosa si capisce dall’altra parte degli schermi dove vediamo apparire e sparire le facce delocalizzate e sbiadite dei nostri ragazzi, quando le vediamo.
Rispettando la privatezza di contesti e scelte familiari bisognerebbe che ogni consiglio di classe, ogni scuola raccogliesse dai ragazzi dati sulle loro disponibilità di computer e di giga. Sulle modalità concrete, materiali di partecipazione alle lezioni. Dobbiamo sapere quanti ragazzi in ogni classe stanno davanti a uno schermo decente e quanti stanno davanti a un cellulare. Alcune lezioni prevedono utilizzo di tabelle, grafici, lavagnate di simboli o di schemi che certamente non sono visibili su uno schermo da telefonino. Dobbiamo saperlo perché non possiamo non partire dalla realtà. Per provare a migliorarla.
Qualche proposta:
La provincia di Trento finanzia attraverso il Fuis attività progettuali delle scuole che richiedano impegni degli insegnanti ulteriori rispetto alle ore previste nei contratti (40+70 annue) per il miglioramento delle didattiche. Chiaramente quest’anno sono saltati progetti, gite, sportelli e tutte le attività integrative a partire da Marzo. Quindi molte risorse Fuis assegnate alle scuole non sarebbero utilizzate per gli scopi previsti. Perché non mettere a disposizione subito delle scuole risorse da spendere per acquisto di computer da cedere in comodato agli studenti che non dispongono di un computer proprio? Magari con la possibilità di riscattarli, esattamente come si fa con i libri di testo, prevedendo anche pagamenti dilazionati nel tempo?
Ci sono da parte di alcune famiglie remore educative nel consegnare a bambini o ragazzi ancora immaturi computer personali? Sono comprensibili. Ma, assieme alle scuole, si potrebbero aiutare i genitori ad una supervisione consapevole dei tempi e delle modalità di uso dei computer. I progetti contro il bullismo online e i rischi da circolazione in rete fatti da molte scuole del primo ciclo sono molto efficaci e coinvolgere i genitori diventa comunque indispensabile. Come si accompagna un bambino per strada si deve accompagnarlo in rete. Tenuto conto che comunque se usano un cellulare in rete ci sono già, e spesso senza alcun contenimento o controllo adulto.
La diversità di età e di tipo di utenza impone che ciascuna scuola trovi la propria strada per operare, e le strategie più opportune per costruire ponti immateriali per l’ educazione in presenza virtuale.
Pensiamo anche agli insegnanti, abituati a essere l’unica categoria di lavoratori pubblici a non avere rimborsi kilometrici, cellulare e computer aziendale, che si stanno barcamenando con il loro mezzi e attingendo a diversi canali formali e informali per reinventarsi modalità comunicative e interattive a distanza. Lavorando con i propri contratti di accesso alla rete, i propri computer, e in Provincia di Trento neppure i 500 euro di bonus per gli acquisti di libri e devices necessari al lavoro. Sarebbe finalmente il caso di dedicare risorse alla professionalità dei docenti, e sostenere l’impegno del passaggio al digitale almeno con un contributo per le spese tecnologiche.
Queste solo solo alcune delle condizioni necessarie, ma non sufficienti, per gli impegni che ci aspettano in chiusura di anno scolastico, e per rendere possibile il rientro. Ma vanno affrontate subito.
Pubblicato su L’Adige
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