Nel dubbio e nella confusione di messaggi ufficiali e ufficiosi il Presidente della Consulta dei Genitori lancia un questionario per chiedere a genitori, docenti e studenti cosa pensano della mascherina e se ritengono che i genitori vogliano continuare a mandare i bambini a scuola pur con obbligo di mascherina o se preferiscano tenerli a casa (curiosa richiesta: la frequenza scolastica non è un optional). Io il questionario l’ho ricevuto su whatsapp da amici, e, come mi hanno fatto osservare, si compila e si può ricompilare all’infinito: nessun controllo.
Non credo che un’ indagine statistica seria arriverebbe alla conclusione che i genitori pensano che il pericolo per i loro figli non sia il Covid, il crollo dei redditi da epidemia protratta, il debito accumulato sulle loro teste, ma la mascherina chirurgica (quella che svariati medici, che qualcosa di salute sanno, tengono a giornate addosso).
Gli ospedali si riempiono, i medici lanciano allarmi sempre più gravi, la diffusione del virus sta condannando categorie intere al crollo delle loro attività economiche. Per evitare tutto questo si chiedono tre cose: mascherine, distanziamento, rarefazione dei contatti.
I genitori attenti sanno che i bambini delle elementari sono spesso molto più corretti e sensibili dei grandi nell’adempimento dei loro doveri : sempre che siano comunicati con serenità e senso della necessità.
E la mascherina è uno di questi doveri: non perché piace ma perché serve.
Serve a diminuire la probabilità di passarsi il virus in classe, perché il respiro si mescola, e con esso la nebulizzazione contenete il virus nel caso ci sia un asintomatico in classe (caso sempre più probabile). Per salvare i nonni a casa, ma anche i genitori quarantenni. Per non far ammalare gli insegnanti, che continuano a fare il loro lavoro perché i bambini non si ritrovino chiusi a casa.
Quello che mi chiedo è da dove nascano ansie e paure che si accendono costantemente da parte di alcuni genitori sulle mense scolastiche, sulle vaccinazioni, e adesso sulle mascherine, e che li vedono psicologicamente in perenne assetto di guerra di fronte alla scuola. Mentre non vedo muoversi nessuna protesta sul fatto che stiamo lasciando ai bambini un mondo devastato dai cambiamenti climatici, dalla prospettiva di futura cronica sottooccupazione, dalla proliferazione di armamenti.
Che accudimento è quello che si esercita negando la ragione e l’evidenza scientifica, e soprattutto negando la capacità di adattamento, il far di necessità virtù, e quel minimo di autocontrollo che ti permette di fare un poco di fatica per un obiettivo che sia serio? In questi mesi una litania continua di psicopedagosti professionisti o dilettanti ha disegnato scenari terrificanti sugli effetti traumatici che l’epidemia porterebbe sulla psiche dei giovani.
Non credo affatto che la generazione dei giovani sia così terribilmente fragile. E invece credo che più la riteniamo fragile, meno saprà essere forte. E’ sbagliato proiettare su di loro la convinzione della loro incapacità di reagire e di adattarsi, di tirar fuori le loro risorse e di superare la crisi. Educare significa anche fidarsi: fidarsi della capacità dei bambini e dei ragazzi di crescere, di affrontare sfide, di interagire con le difficoltà, di assumersi progressivamente il gusto della responsabilità. Fosse pure la responsabilità di non far passare il virus. Sapere di aver contribuito a qualche disastroso contagio o alla crescita della epidemia farebbe molto più male ai nostri bambini e ragazzi che il fatto di indossare una mascherina.
L’ ansia da prestazione di mamme e papà distratti da mille impegni e spesso confusi su cosa sia veramente quello che desiderano per i loro figli in termini di vita buona si impiglia a volte in pretesti, in dettagli, in futilità. Raramente però si mette in discussione la pervasività delle chat dei figli, le giornate passate sui giochi elettronici, la diseducazione dei media cui sono esposti. Perché metterebbe in discussione il significato dell’educazione e quale sia la speranza e il senso della vita che investiamo sui figli. Meglio prendersela con quel terzo soggetto che è la scuola. O con la società. O con chi detiene il potere e la responsabilità di imporre divieti.
Che se poi chi deve gestire i danni sanitari e sociali ha contribuito a diffondere demagogiche negazioni del pericolo e delle necessità di provvedimenti, la cosa si complica ulteriormente.
L’incapacità di prevedere e provvedere non ha scusanti. Ma neanche la testa messa nella sabbia per non vedere morti e malati.
Passerà prima o poi l’epidemia. I ragazzi torneranno a riunirsi liberamente, ritorneremo a fare scuola a scuola, meglio di prima, perché avremo imparato a usare il digitale.
La generazione di Degasperi ha subito la dittatura e il fascismo, ed ha però ricostruito l’Italia.